Ma che fece Pareto di così figo da farmi dire la frase: “Principio di Pareto come stile di vita”?! Mah, saltando a piè pari tutta la parte politica che “non mi garba” ciò che disse di interessante per me riguarda l’economia e poco più. 💰
Giusto per inquadrare il soggetto sotto questo punto di vista:
Il caro Vilfredo Pareto (figlio di padre italiano e madre francese), mente brillante e decisamente versatile in campi che spaziano dall’economia alla sociologia, passando per filosofia, matematica, statistica e chi più ne ha più ne metta, visse nella seconda metà dell’800 fino al ventennio del 900.
I suoi studi lo portarono a considerare che l’ “élite” gode di privilegi ma allo stesso tempo anche di risorse economiche superiori a tutto il resto della popolazione ma non solo: la minor parte delle cause produce la maggior parte degli effetti. Il che è applicabile all’economia, alla statistica, alla casistica e si propaga a macchia d’olio molti campi.
Siamo nel 1897, Pareto sta studiando la distribuzione dei redditi e dimostra che una piccola parte della popolazione (il 20%) possiede gran parte (l’80%) delle terre. Le terre nel 1897 erano considerate ricchezze a tutti gli effetti. Questa osservazione ispirò la cosiddetta “legge 80/20” che fu poi ampliata e ripercorsa da tanti altri studiosi dopo di lui.
E dunque… a che serve saperlo?
A cosa serve il Principio di Pareto
La cosa bella del Principio di Pareto è che, come abbiamo detto, si applica alla stragrande maggioranza dei campi di interesse perché è volto a individuare quali sono le poche risorse che influenzano in modo significativo il risultato finale.
Ad esempio, possiamo applicarlo a una delle risorse di chi commercia: le merci. Seppur non possiamo ancorarci troppo alle percentuali precise che sono da considerarsi approssimative, tuttavia possiamo dire che:
Il 20% del catalogo genera l’80% dell’incasso.
E ciò in linea di massima ha il suo fondo di verità, alcuni prodotti si chiamano “Top sell” proprio perché ne vendiamo non uno ma centinaia e visto che anche noi commercianti non siamo tutti solo venditori, ma siamo prima di tutto consumatori, non è forse vero che ciascuno di noi ha i suoi “prodotti preferiti” che acquista in loop?
Ed ecco che nel tempo è così che ho iniziato ad acquistare anche per il lavoro: identificati i prodotti che si vedono di più, i top sell, posso orientare gli acquisti, impiegando il budget per evitare enormi giacenze di magazzino.
Ma gli altri prodotti? Tutto il resto (è noia?!) è un surplus, prodotti di contorno, servizi di contorno, che hanno una porzione molto molto inferiore del budget e servono per arricchire e diversificare la proposta ma non sono determinanti, anzi, a rotazione vengono rimpiazzati.
Questo non è IL MODELLO, ma solo UNO dei tanti modelli di business: ce ne sono molti altri, ma questo mi piace perchè non richiede di impiegare una quantità di budget immensa, ma solo il 20% (tanto per tornare alle percentuali di prima, ricordo che sono approssimative). Uno sbilanciamento minimo del budget nella ricerca di un equilibrio tra esposizione e rendimento. Roba da contorsionisti o quasi.
Oggi come 120 anni fa?
E dunque nel 2022 valgono le stesse regole di 120 anni fa? L’economia, che è continuamente in cambiamento insieme alla società, risponde ancora agli stessi canoni?
Forse una verità assoluta non c’è, tuttavia occorre considerare che l’avvento della produzione in grande scala, l’industrializzazione, la grande distribuzione e internet hanno cambiato le carte in tavola e l’èlite del commercio (veri colossi del mercato, come Amazon ad esempio) ha definito un cambiamento.
Ed ecco che supportati da internet, il catalogo dei veri Big non ruota pià solo intorno al 20% determinato dai top sell ma si è potuto differenziare e frammentare in migliaia, e in alcuni casi milioni, di prodotti che tutti insieme concorrono al raggiungimento dell’obiettivo.
Perché? Perché per produrre il prodotto X, Y e Z non spendo poi tanto rispetto ad anni fa in cui i costi erano più alti e occorreva fare una scelta e sperare nel “one shot” stellare.
Non molti differente quello che succede nell’industria discografica ad esempio dove non occorre più indovinare dal mazzo i pochi artisti su cui puntare tutto ma grazie al digitale e internet, abbattuti i costi di distribuzione e promozione ci sono decine decine e decine di artisti che anche se “meteore”, veri fuochi d’artificio, da una sola hit, sono comunque proposti, supportati e diffusi… finché rendono.
I colossi hanno quindi sfruttato al massimo internet e ampliato la radice che aveva piantato Pareto. Loro restano parte di quel 20% di aziende che attraggono l’80% del profitto mondiale… ma la loro merce non è più il 20%: è differenziata e frammentata.
Noi micro-imprese, per forza o per amore legate a Pareto
Tuttavia, per le micro imprese, le micro realtà, le piccole partite iva, i freelance, chi lavora da solo o con un team ridotto all’osso, identificare quel 20% capace di fruttare l’80% del fatturato è fondamentale.
Siamo l’ élite? Non in linea universale, ma siamo l’élite della nostra piccola realtà, e la pagnotta a casa la dobbiamo portare.
Il tempo che abbiamo a disposizione è limitato, le risorse non sono sconfinate, sarebbe bello avere la possibilità di puntare contemporaneamente su tutti i prodotti che ci piacciono, alimentare tutti i progetti che ci passano per la mente, investire in tutte le idee che abbiamo abbozzato su quel taccuino che alberga nel cassetto della scrivania… ma occorre ottimizzare.
Mi piacerebbe moltissimo avere l’esperienza per dire che è bastato identificare quel 20% di prodotti e impiegare quel 20% di tempo necessario per cambiare la vita… ora sarei la “Tim Ferris de’ noantri”, ma a me non bastano le 4 ore a settimana di lavoro che bastano a Tim. Il mio processo è più lento ma credo di aver avuto davvero tanti benefici dall’applicazione più consapevole del principio di Pareto.
Ma chi vuole dare un’occhiata anche al libro di Tim Ferris di cui vi ho accennato lo trovate qui: 4 ore alla settimana e anche se in America è tutto diverso il processo lavorativo credo che il concetto, rivisto e riadattato, resti davvero molto valido almeno come concetto, vale la pena leggerlo e forse ne riparleremo ancora.
Delegare, ottimizzare, monetizzare… Pareto è ovunque?
C’è qualcosa di davvero rivoluzionario che ci ha regalato l’avvento di Internet, qualcosa che neanche Pareto immaginava nonostante avesse una mente assai brillante:
1. i margini si sarebbero alzati in alcuni settori grazie al digitale che permette di generare profitto con prodotti che non necessitano di essere fisicamente materializzati (es. ebook, file digitali, ecc…).
2. i margini si sarebbero abbassati in altri settori, grazie ad una produzione su scala, più economica di quanto era possibile nel 1897. Prendiamo un armadio, in quegli anni nessuno lo avrebbe mai venduto al 10% dello stipendio mensile di un operaio. Ma a contribuire ai margini più bassi è stata anche la rivendita di beni a prezzi sì più bassi, ma in volumi maggiori ed estesa oltre il proprio territorio circostante. L’industrializzazione, la catena di montaggio, le macchine che hanno sostituito il lavoro manuale: questi elementi hanno influito sul prezzo.
Il fatidico armadio di cui sopra, non lo vende più solo il mobilificio di quartiere, lo possiamo comprare in qualsiasi punto della nazione e anche oltre, con consegna a casa.
3. la concorrenza si sarebbe frammentata e non avremmo più avuto 2-3 concorrenti nella nostra “zona” ma migliaia di concorrenti nel mondo.
Le carte in tavola sono cambiate per la domanda, ma anche per l’offerta, perché delocalizzare alcune fasi produttive e delegare ad altri lavoratori anche geograficamente più lontani, è ormai all’ordine del giorno per i business digitali. Con il negozio fisico avremmo cercato un imbianchino in città, con quello virtuale un web designer lo possiamo trovare anche a 10.000 km di distanza. Questo cambia tutto.
Se non si ha tempo di fare qualcosa di digitale, è facile trovare qualcun altro che lo faccia al posto nostro (ammettendo che ci sia budget per farlo) così da poterci occupare solo di ciò che non vogliamo delegare, questioni in cui siamo eccellenti o che ci competono direttamente. Possiamo fare quel 20% fondamentale per tenere in piedi il tutto.
Se questo è vero, allora è vero anche che, quando la gestione è frammentata, avere la certezza di monetizzare ogni aspetto è fondamentale, e aggiungerei assolutamente necessario. Quello che si delega deve rendere altrimenti le risorse vanno a gravare su tutti gli altri comparti.
Ogni mancato guadagno è una perdita.
Lavorare online vuol dire frammentare e allo stesso tempo riuscire a tenere tutto unito e compatto, è coltivare un orto, questo avviene molto molto prima di vendere alla bancarella.
E Pareto muto. 🤫
Ma il prodotto perfetto per il principio di Pareto, quale è?
Ah ma se lo sapessi non lo direi mai! 😂 Sarei una pazza a spifferarlo ai 4 venti!
Potenzialmente però ogni settore ha i suoi prodotti Pareto-Addicted diciamo 😉👌 E se non è il prodotto ad essere perfetto può esserlo la strategia di vendita del prodotto stesso.
Il prodotto perfetto per diventare il nostro 20% che frutta l’80% dell’incasso è per forza un Top Sell? Ovvero un prodotto che vende tantissimo in termini di quantità? Non per forza. Molte vendite online significano anche molte spedizioni, molti potenziali problemi da risolvere. Se è un prodotto elettronico ad esempio, molte possibilità che sia necessaria assistenza. Se è legato ai gusti, alle taglie, molte possibilità che possa non piacere indossato e diventi facilmente un reso.
Per la mia esperienza (singolare e personale, lo ricordo sempre: non è una regola assoluta), un ottimo compromesso è scegliere un prodotto che vende “il giusto” ma che ha un grande margine di guadagno sopra. Questo mi permette di abbattere le spese per spedirlo e ridurre il numero di variabili che derivano dall’avere molti molti acquirenti, pur preservando il fatturato. Per la mia piccola azienda meglio 100 vendite con un margine del 500% che 1000 vendite con un margine del 10%.
Facciamo un esempio: Cappellino da basket all’ingrosso 5 euro, prezzo al pubblico: 30 euro. Ne vendo 100. (100×5) = 3000 euro. Spesa per comprarli: 500 euro. Ho un bel margine di 2500 euro e 100 clienti soddisfatti.
Oppure: Cappellino da basket all’ingrosso 5 euro, prezzo al pubblico: 9 euro. Ne vendo 1000. (1000×9€)= 9.000 euro. Spesa per comprarli: 5000 euro. Ho dunque un bel margine di 4000 euro e 1000 clienti soddisfatti.
Il cappellino non ha bisogno di chissà che assistenza, cotto e mangiato, se lo portano via soddisfatti e siamo tutti felici. Ma. Se questi cappellini li dovessi anche spedire forse la cosa sarebbe diversa perché i costi di spedizione ci sono e si fanno sentire. Se una percentuale di queste persone non fosse a casa e il pacco finisse in giacenza, volesse cambiare cappellino, chiedesse una sostituzione, se una piccola percentuale si lamenta perché sul grande numero qualche cappellino difettato c’è. Allora questi 4000 euro di margine andrebbero limati parecchio a fronte di tanto tanto lavoro.
Se si hanno le spalle larghe, grandi numeri in termini di vendite permettono di fidelizzare tanti tanti clienti che forse, se abbiamo lavorato bene, torneranno. Ma se non si ha dietro una struttura aziendale orientata alla vendita esponenziale, fare migliaia di vendite con un margine basso scopre il fianco su comparti che magari non sono ottimizzati come la logistica, lo spedizioniere, l’assistenza post vendita e il servizio resi e garanzie.
Io preferisco meno vendite ma buoni margini perché lavoro sola. Ma se si ha un team allora sicuramente alzare il numero di clienti potrebbe essere la scelta migliore.
C’è anche la possibilità che non sia il prodotto top sell a tirare su il margine di guadagno, che invece sia ,a strategia di vendita. Potrebbe anche essere che questo prodotto fantastico che tutti vogliono necessiti di prodotti a lui complementari.
Ed ecco che tutti vogliono il panino del Fast Food a 0,50 centesimi (vi ricordate chi lo fece uscire a questa cifra? Io si!!). Ma per strozzare il mappazzone viene da sé che quasi tutti compreranno anche una bibita che ovviamente sarà a prezzo pieno pienissimo perfino quasi un po’ più alto del previsto. E’ la stessa gestione dei rasoi da barba e delle lamette. Delle stampanti e delle cartucce. E via dicendo. I prodotti civetta vanno ad “acchiappare” il cliente con il prezzaccio calabraghe, i complementari vanno a tirare su il margine di guadagno. Anche qui, se si ha una struttura adeguata a gestire questo flusso è una ottima strategia.
Ma la vita privata forse è anch’essa legata a Pareto
Non so se valga per tutti, prendetela come una semplice riflessione personale, ma credo che quel 20% di risorse che ci porta all’80% dei benefici forse ha a che fare anche con la vita privata.
In fondo non abbiamo sconfinate amicizie, c’è piuttosto una rosa di amici che fanno parte della nostra vita in modo più stretto e tutto il resto sono conoscenze che certo, ci fa piacere avere, ma tutto sommato non sono così determinanti, insomma… non sono le vere persone che condividono la vita con noi.
Le persone che ci va di frequentare le scegliamo con il cuore (e non perchè ci fanno comodo) e sarebbe bello sapere che è così anche per noi, che siamo stati scelti per affinità e affetto. Io voto per Pareto anche qui: un pò meno, ma scelto meglio.
Dovremmo forse fare un pò come per il lavoro di cui si parlava poco sopra: scegliere quali sono le persone a cui vogliamo dedicarci, di cui vogliamo occuparci e con le quali vogliamo mantenere una relazione e lasciare andare il resto, tutte quegli “pseudo-rapporti” in cui “Carissima, non ci sentiamo da anni” e abitiamo a 2 km di distanza. Cioè… questi rapporti, che li teniamo a fare?!
E forse anche le nostre attività personali dovrebbero seguire la regola di Pareto, dedicarci a quello che ci fa felici, che ci fa stare bene e abbandonare al mare tutto quello che è un onere emotivo.
Quel caffè che non ci va di prendere con alcune persone, quel corso che “eh ma magari è utile” ma non ci va di fare, quei vestiti che “magari in futuro li rimetterò”, le tazze che non ci piacciono più, quel numero di telefono che hanno ormai tutti e a tutti non vogliamo rispondere più “eh ma se lo cambio non mi trova più nessuno”, quel soprammobile orribile che “eh ma è un regalo”. Lasciar andare… smettere di pensare a far contenti tutti, a quello che presumibilmente e social-mente corretto.
Nulla mi infastidisce di più delle forzature: fai questo per te stesso, quest’altro per te stesso, aumenta le tue skill, allenati di più, condividi di più, socializza di più, investi su te stesso, amplia le tue conoscenze, corri, corri, corri, ma rallenta anche perchè il lifestyle di oggi va di moda relax…😅 però se rallenti dillo a tutti, fai vedere i tuoi rilassanti caffè.
Non siamo una azienda, e non siamo costretti a investire sempre e a mantenere una insegna sulla fronte. Di questo ne riparleremo… vero?
Credits: Foto in testa all’articolo di SkitterPhoto da Pexels